Solo recentemente si è iniziato a considerare la cultura organizzativa una variabile indipendente, idonea a determinare comportamenti ed atteggiamenti sia di un singolo individuo che di interi gruppi (Evan 1976).
Questo termine designa i valori dominanti di un’organizzazione, le norme di riferimento adottate da ogni dipendente nella sua interazione con i colleghi. E’ paragonabile alle regole di un gioco per potersi sia orizzontare nel contesto lavorativo che per rimanere in tale ambito. Sono le regole che ogni neo assunto deve apprendere in fretta, al fine di essere accettato nell’organizzazione e che ogni organizzazione trasmette tramite sia l’immagine che le procedure di interazione tra gli appartenenti all’organizzazione e le persone esterne.
Shein (1990), pag. 35:, in modo mirabile ha definito tale cultura in:
“un insieme di assunti di base, inventati, scoperti o sviluppati dai membri di un’organizzazione per affrontare problemi di adattamento esterno o di integrazione interna che si è dimostrato così funzionale da essere considerato valido e, conseguentemente, da essere indicato ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, di pensare, di sentire in relazione a quei problemi”
Da quanto detto, la cultura svolge una funzione adattativa tra i soggetti appartenenti alla medesima organizzazione, facilitandone a) la coesione sia in termini di gruppo che di appartenenza, a tutto vantaggio della stabilità dell’organizzazione; b) definendo le norme a cui sottostare per interagire in maniera corretta con i propri colleghi, a tutto vantaggio della cooperazione (Robbins).
Analizzare la cultura imperante in un’organizzazione, ci permette di comprenderne il funzionamento, fornendo preziosi dati sulle modalità operative della stessa, come ad esempio la propensione al cambiamento (sia in termini organizzativi che di tecnologie utilizzate), o sui processi comunicativi , o sulle procedure formative del personale, o generalizzando, sulle modalità di analisi della realtà con i relativi meccanismi di presa di decisione. Si tenga però sempre presente che una cultura (qualunque essa sia), si afferma per rispondere in modo funzionale alle esigenze dei membri dell’organizzazione.
Non esiste una cultura organizzativa migliore delle altre! Possiamo paragonarla ad un abito, un bell’abito, confezionato da un sarto, ma che calza solo ed esclusivamente ad un solo soggetto. Chiunque voglia indossarlo dovrà apportare delle modifiche più o meno importanti, ma pur sempre delle modifiche.
Una cultura organizzativa ha, in un determinato ambito lavorativo, una sua storia, una sua specificità, per il quale è funzionale sia alle esigenze che alle “ansie “ dell’organizzazione. Tengo a precisare che normalmente, all’interno di un’organizzazione di piccola-media dimensione, si manifesta un solo tipo di cultura organizzativa, mentre in una di grandi dimensioni è facile rilevarne diverse, a seconda del settore rilevato, della mansione svolta, dell’area geografica di appartenenza, ecc.. E’ una concezione diversa del modo di vedere il lavoro, e quindi la vita, infrangendo il mito dell’omogeneizzazione culturale.
Esistono cinque diverse culture organizzative secondo uno schema formulato da Enriquez, che deve essere utilizzato in modo elastico, evitandone pedanti e rigide applicazioni che, pur essendo facili da effettuare, rispondono assai poco alla realtà. In dettaglio abbiamo:
Autoritaria
Si distingue dalla presenza di un leader carismatico, fulcro e motore di ogni attività decisoria, la cui autorità non viene messa in discussione da alcuno all’interno dell’organizzazione. Il metro utilizzato per valutare l’operato dei dipendenti (con relativo sviluppo di carriera), è l’identificazione con il Capo, ergo la subordinazione ad esso. Solo da lui provengono le direttive (es. ordini di servizio, foglio disposizioni, ecc.), le quali scorrono dal vertice della piramide fino alla base, in un contesto che svaluta le potenzialità di ogni uomo, ritenuto incapace di intendere e di volere.
Indubbiamente, tale cultura svincola il dipendente dall’assunzione di responsabilità, visto che è tutto deciso e programmato, ed è per questo che molti soggetti si trovano perfettamente a loro agio in questo contesto, visto che per loro l’organizzazione svolge le medesime funzioni di un faro per un naviglio senza bussola. Schematizzando quanto affermato:
VALORE DOMINANTE: Fedeltà (al padre fondatore prima e successivamente ai successori);
CRITERI DI AVANZAMENTO: Fedeltà al Management
BISOGNI DI UNA CULTURA: Sicurezza (è tutto definito, programmato, lineare, prevedibile).
Burocratica
Da come si può facilmente comprendere, tale modello organizzativo è il frutto della “burocrazia”, la quale fu istituita per far rispettare determinate norme e compiti stabiliti, come rimedio all’abuso di potere da parte di chicchessia. Ovviamente, tale osservanza alle norme, è il leitmotiv della cultura burocratica, usandolo come metro di paragone per la definizione sia delle responsabilità che dell’organizzazione del lavoro, come per lo sviluppo di carriera.
Come per la cultura autoritaria, quella burocratica svolge una funzione rassicurativa sul soggetto, poiché lo esonera dall’assumersi responsabilità, pur limitandone l’autonomia e la discrezionalità, anche alla luce delle severe punizioni in caso di mancato rispetto della norma. In altri termini si assiste ad una prevalenza del compito da svolgere rispetto all’obiettivo che ci si pone. Senza analizzare l’evoluzione che tale cultura sta vivendo ai nostri giorni, schematicamente possiamo rappresentarla:
VALORE DOMINANTE: Osservanza alla Norma;
CRITERI DI AVANZAMENTO: Anzianità (si assume che ad una maggiore esperienza corrisponda una maggiore osservanza alle norme)
BISOGNI DI UNA CULTURA: Rassicurazione (nei confronti delle persone, poiché non c’è assunzione di responsabilità).
Paternalistico-Clientelare
Tale cultura si basa sul senso di appartenenza di un soggetto all’organizzazione cui appartiene. E’ una sorta di dejà vu, un ritorno alla fase adolescenziale nella quale ci si sente “vivi” solo se si adottano le posture, i comportamenti, l’abbigliamento del gruppo di riferimento. Come afferma Avallone (op. cit. pag. 112): “L’appartenenza al gruppo, che diventa un ambito di riconoscimento e di protezione, è in se stessa un valore e scandisce gli spazi professionale nei quali misurarsi e gli avanzamenti retributivi e di carriera.” Si assiste, quindi, ad una dicotomia interno-esterno, o meglio amico-nemico, la quale svolge una funzione coagulante tra i membri appianando eventuali diatribe intestine. Nel caso il nemico non esista, si inventa, al fine di superare le problematiche interne. Appartenere ad un gruppo svolge una funzione protettiva, rassicurante, identificativa (es. senza di noi non sei nessuno), ed ogni presa di distanza - da parte di un appartenente - da tale concezione è punita in modo esemplare. Schematicamente possiamo rappresentarla:
VALORE DOMINANTE: Appartenenza (al gruppo, all’organizzazione );
CRITERI DI AVANZAMENTO: Fedeltà all’Organizzazione (e non alla persona se non marginalmente)
BISOGNI DI UNA CULTURA: Rassicurazione (in cambio di una disponibilità totale da parte del soggetto).
Tecnocratica
Tale cultura è l’antitesi, dal punto di vista lavorativo, della “Burocratica”, poiché è orientata all’obiettivo che ci si è prefissi, anziché al compito da svolgere. E’ il frutto dell’evoluzione tecnologica, dell’orientamento al mercato che ogni azienda deve porsi come compito primario per poter sopravvivere. In tale cultura il dipendente non viene considerato un mero portatore d’acqua, bensì una fontana che può e deve dare il proprio contributo personale. Il management svolge una funzione di controllo e sviluppo dell’iniziativa da parte dei soggetti, incanalando le potenzialità di ognuno verso il perseguimento dell’obiettivo. E’ un management dinamico, flessibile, disposto ad ascoltare i suggerimenti e le critiche che gli vengono posti dalla base, facendone tesoro per migliorare e migliorarsi. Maestri in questa cultura sono i giapponesi i quali, sviluppando le idee relative ai circoli di qualità, hanno formulato metodi operativi e creativi di indiscussa efficacia. I rapporti tra dipendenti sono informali, ma aventi un elevato grado di competizione, onerosa sul piano individuale, anche alla luce della rimozione pressoché totale delle emozioni a causa dell’elevata fiducia che viene posta nella razionalità e nella competenza individuale. Tali organizzazioni ritengono che tutto possa essere controllato, dalle macchine utilizzate per i processi produttivi all’emotività del dipendente. Ciò è molto pericoloso, perchè il problema umano dopo essere stato gettato al di fuori del portone, rientra dalla finestra, creando pericolosi ritorni di fiamma a tutto discapito dell’organizzazione. Schematicamente possiamo rappresentarla:
VALORE DOMINANTE: Competenza (è privilegiato chi vanta una competenza professionale in ambito specifico);
CRITERI DI AVANZAMENTO: La Capacità Individuale (ciò che il soggetto sa fare, e come lo applica, ovvero la persona deve dare risultati concreti)
BISOGNI DI UNA CULTURA: Voglia di Misurarsi con se stessi (quanto valgo?)
Cooperativa
E’ l’antitesi, dal punto di vista umano, della “Tecnocratica”. I dipendenti lavorano in gruppo, in piena autonomia, ma consci degli obiettivi da conseguire. I rapporti umani sono evidentemente informali, molto aperti e scevri da gelosie intestine. Le decisioni da prendere seguono un iter che prevede il pieno consenso dei membri (quindi molto lungo e travagliato), ed eventuali disaccordi sono valutati positivamente e funzionali al progredire dell’organizzazione. Alla luce di quanto detto, è lapalissiano che gli appartenenti vengano posti tutti sul medesimo piano, sia dal punto di vista del rendimento lavorativo che da quello ideativo o creativo.
VALORE DOMINANTE: Partecipazione e Consenso(è privilegiato chi lavora bene in gruppo)
CRITERI DI AVANZAMENTO: E’ il Collettivo che Progredisce, e non l’Individuo, pertanto si assiste ad una rotazione nell’assunzione dei livelli di Responsabilità
BISOGNI DI UNA CULTURA: Desiderio di Sentirsi inseriti in un Gruppo, a tutto vantaggio della propria Identità.
BIBLIOGRAFIA
COOMBS C.H., AVRUNIN G.S.: The structure of conflict
Lea Hillsdale London (N.J.) 1988
ENRIQUEZ E.: I tipi di strutture decisionali
in AA.VV.: Les problemes de gestion des enterprises
Dunod Paris 1970
EVAN W.: Organizational Theory
Wiley, N.Y. 1976
ROBBINS S.P.: Comportamiento organizacional
Prentice Hall Nacualpan de Juarez 1987 pag. 334 - 353
SCHEIN E.: Organizational Psychology
Prentice Hall, Englewood Cliffs (N.J.) 1980
SPALTRO E.; de VITO PISCINELLI P.: Psicologia per le organizzazioni
- Teoria e pratica del comportamento organizzativo -
NIS 1992