Quotidianamente ognuno di noi, in risposta agli avvenimenti che accadono, formula delle ipotesi di tipo causa-effetto, ed a tale analisi non si sottrasse neanche il sommo Dante visto che affermava: “Cosa fatta capo ha!” . Pertanto, sarà sorto spontaneo ad ognuno di noi il quesito: “Perchè alcune aziende lamentano un numero elevato di infortuni (e quindi giornate lavorative perse), mentre altre rientrano nella norma?” Ritengo che il lettore sia d’accordo con lo scrivente se affermo che tale risultato non è dovuto al caso, bensì è il degno risultato dall’aver stabilito una precisa linea di condotta dalla quale non si transige per nessun motivo, sia esso economico o materiale. Utilizzando un sillogismo, si può affermare che poiché le linee guida operative vengono formulate dal management, e questi si attiva affinché esse siano recepite ed eseguite, se ne deduce che solo con un sforzo chiaro e preciso da parte del suddetto management è fattibile porre la prevenzione degli infortuni al vertice delle priorità aziendale. In altri termini è una vera e propria politica della sicurezza (in un’ottica strategica, di ampio respiro), impostata, diretta e verificata, posta al di sopra di tutto e tutti.
Qualsiasi lavoro deve avere infortuni zero. Ma affinché ciò sia possibile, l’operatore deve sentirsi al centro dell’azione, e le linee guida prodotte dal management devono essere centrate sul fornire motivazione al lavoratore. In tale ambito, si raggiungeranno elevati risultati solo quando i Dirigenti, i Quadri, gli Addetti, lavoreranno in concerto. E’ fondamentale una collaborazione attiva di tutti i livelli produttivi per ottenere il massimo della sicurezza. Si tenga sempre presente che ottenere pochi infortuni all’interno di un’azienda si traduce in termini psicologici in una migliore qualità della vita per i dipendenti mentre, in termini economici, si ottiene sia una forte identificazione con l’organizzazione di appartenenza che elevata produttività.
Ho poc’anzi utilizzato un termine che ad alcuni potrà sembrare fuori luogo, ovvero “Politica” della sicurezza. Come ho precedentemente specificato, tale termine deve essere interpretato in chiave strategica, l’equivalente della Vision Aziendale, grazie alla quale si può delineare il “Cosa si vuol ottenere”. Ovviamente, in ambito aziendale, è più attinente il termine “Cultura” della Sicurezza, il quale può essere definita come un sistema di valori e principi sui quali poggia il legame tra dipendente ed organizzazione produttiva. Ovviamente, più questo sistema è condiviso dalle parti (in termini sia di accettazione/adesione che di coerenza con gli obiettivi definiti), maggiore sarà il peso di tale “Cultura” in ambito aziendale, con evidenti ripercussioni in campo attuativo. E’ lapalissiano che, non avendo a che fare con freddi robot ma con esseri umani, tale condivisione/coerenza si ottiene grazie al verificarsi di alcune condizioni di base quali: 1) Stile di Leadership; 2) Approccio Globale; 3) Flusso Informativo.
La terza condizione necessita di una particolareggiata analisi, chiarendo che con tale definizione, si intende lo scambio di informazioni tra due o più soggetti, fondamentale per qualsiasi progresso. L’informazione può avvenire oralmente, per via scritta o, soprattutto per le aziende tecnocratiche, utilizzando i moderni ritrovati informatici. Quel che ci interessa in questo ambito non è la tecnica con la quale si trasmette, bensì “come e cosa” si informa il dipendente in materia di sicurezza. Come afferma Tulli:
“... verificare di che tipo sono i messaggi, individuare carenze e scompensi comunicazionali e progettare e realizzare un nuovo mix integrato di comunicazione. Questo esame deve riguardare anche gli strumenti adottati (ad es. il reporting o le riunioni di sicurezza) che appaiono spesso come riti subìti o stanche procedure e sono indicativi delle difficoltà comunicative e della perdita di segnale dei messaggi di sicurezza.”.
Ogni organizzazione è un mondo a sé, quindi è compito del Responsabile alla sicurezza individuare le soluzioni di continuità nel processo informativo, ripercorrendone i passaggi, studiando soluzioni alternative, analizzando i motivi di un’interruzione. A tutto ciò va aggiunta a volte la necessità di modificare o progettare ex novo, un nuovo canale informativo (magari associato ad un insieme di altre modalità) in modo da rendere praticamente impossibile la non diffusione di un’informazione.
Ugualmente importante è “cosa” si trasmette. In altri termini, divulgare una disposizione legislativa è di per se molto semplice, poiché basta ricopiarla e diffonderla con i mezzi normalmente utilizzati. Ma ciò è fonte di un gravissimo errore, poiché chi riceve tale missiva non sempre è in grado di comprenderla appieno, generando in tal modo una cattiva interpretazione, o peggio un rifiuto. Per questo, il Responsabile alla sicurezza deve assicurarsi che il messaggio sia recepito da TUTTI, in modo chiaro ed inequivocabile, rendendosi immediatamente disponibile a delucidazioni in merito. La chiarezza espositiva è, a parere dello scrivente, una delle doti più importanti per attuare una corretta informazione nell’ ambito della sicurezza lavorativa. Purtroppo, esistono ancora molte persone che ritengono fondamentale far ricorso nei loro scritti ad un linguaggio criptico, utilizzando cioè vocaboli tecnici di difficile comprensione. In altri termini costoro, mascherando la loro debolezza ideativa, utilizzano espressioni altisonanti a mo’ di scudo, ritenendo di generare in chi legge un senso di soggezione e dipendenza. Consiglierei a costoro di leggere gli scritti del grande A. Einstein, il quale ha diffuso la teoria della relatività utilizzando dei termini e degli esempi alla portata di tutti. Potenza dell’Umiltà!